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storia dei prigionieri .. di Renzo Fiammetti 13/11/2020

Il castello degli Austriaci
I settecento prigionieri di guerra internati a Frinco d’Asti durante il primo conflitto mondiale

di Renzo Fiammetti


UN AUGURIO NATALIZIO, CON L’IMMAGINE DELL’IMPERATORE
Natale 1916: il soldato di fanteria Vaclav Husnik, riceve gli auguri dai famigliari per le imminenti feste. La moglie Marketa Husnikova e la di lui madre scrivono al marito e figlio, che si trova in prigionia in Italia, internato nel “castello Frinco de Asti Italia”, con l’augurio che tutto vada bene e l’immagine, sul recto della cartolina, dell’imperatore Carlo: “Nostro caro marito e figlio, ricevi saluti e baci da tutti noi. Abbiamo ricevuto la vostra lettera, così bella che ci ha tranquillizzati. Ci auguriamo un felice anno nuovo, migliore di questo. Vi inviamo una foto del nostro monarca. Dio sia con voi! Markéta Husníková” . Il soldato di fanteria -  “infanterist” - Husnik è uno delle centinaia di prigionieri di guerra austroungarici richiusi nel castello di Frinco d’Asti, numero di internati che nel corso del conflitto lieviterà sino a superare quota settecento.

GEOGRAFIA CONCENTRAZIONARIA: UNA STORIA ANCORA DA SCRIVERE
La storia della prigionia di guerra in Italia durante il primo conflitto mondiale è ancora una storia tutta da scrivere. Agli inizi degli Anni Duemila il saggio di Alessandro Tortato getta una prima luce sul tema , usando fonti d’archivio inedite e delineando per primo le dimensioni di un fenomeno dai contorni prima sfuggenti e indefiniti. Questo però senza aprire una nuova stagione di studi su un tema che continua, nel decennio successivo, ad essere sostanzialmente poco praticato. Prima della sintesi di Tortato, la prigionia di guerra in Italia è affrontato in una serie di studi locali, ovviamente circoscritti nell’area di studio e nel riscontro delle considerazioni: del 1982 è il saggio di Giorgio Migliavacca ; nel 1996 Maccalini e Losardo descrivono le vicende dei prigionieri internati ad Avezzano  e nel 2000 è la volta dello studio di Petronio sui prigionieri di guerra a Riva Ligure . Esito storiografico diverso è quello della drammatica vicenda dei prigionieri internati all’Asinara, la cui vicenda nel 1961 è oggetto dello studio di Giuseppe Agnelli  mentre più recentemente Luca Gorgolini è tornato sulla vicenda in un documentato e interessante saggio . Chi scrive ha dedicato al tema della prigionia di guerra alcune riflessioni, seppur limitatamente all’area novarese (ma comprendente in quegli anni le attuali province di Novara, Verbania, Biella, Vercelli) in saggio  e in monografia , pubblicando in rete il sito
www.prigionieri.it  e la pagina Facebook Prigionieri austroungarici- Osterreichisch- ungarischen Gefangenen con documentazione fotografica in larga parte inedita.
La geografia concentrazionaria italiana sconta un duplice limite: il poco appeal degli studi storici e la frammentarietà della sua organizzazione. Per quest’ultimo aspetto va ricordato come l’universo concentrazionario italiano della prima guerra mondiale è localizzato in una miriade di piccoli Comuni e località del Regno, con i prigionieri che sono sistemati spesso in cascine, frazioni, locali pubblici e – naturalmente – veri campi di concentramento come l’immaginario collettivo ci ha abituati a vedere e immaginare, con filo spinato e guardie armate. Questo ha impedito agli studiosi di rendere in modo sistematico e non dispersivo – nei mille rivoli della cronachistica locale – le dimensioni del fenomeno. In un Paese letteralmente affamato di manodopera, con i suoi soldati contadini impegnati al fronte, la necessità di avere braccia per l’agricoltura e per i lavori più urgenti diviene una necessità imprescindibile. Seppur con una remora di fondo – cioè se ci si potesse o meno fidare dei prigionieri – decine, centinaia di migliaia di prigionieri catturati sul Caso o sull’Isonzo, o sul Tagliamento sono avviati in località conosciute e in piccoli Comuni spersi nel Regno, spesso dopo viaggi inenarrabili attraverso l’intero paese.
Che la storia della prigionia di guerra in Italia sia una vicenda frammentata in  piccole comunità lo si evince chiaramente dalla relazione che, all’inizio del 1917, il presidente della Commissione prigionieri di guerra – il generale Spingardi – redige, fissando in 79.978 i prigionieri a quella data presenti nel Paese  : Per il Piemonte, il generale Spingardi enumera 80 ufficiali, 4 aspiranti e 758 militari di truppa affidati al primo Corpo d’Armata di Torino e 32 ufficiali e 4667 uomini di truppa dipendenti dal secondo Corpo d’Armata di Alessandria.  Le località elencate vanno da Novara, a cui è attribuito il numero singolare di 2 prigionieri, ad Arquata Scrivia, Moncenisio, Savigliano. Frinco d’Asti compare nella relazione con 361 prigionieri presenti, tutti uomini di truppa. Il campo di concentramento di Frinco – il castello che domina il paese – dipende militarmente dal campo principale di Alessandria, insieme ai campi di Casale Monferrato, Vinadio, Gavi, Vigevano, Fossano, Castel Rocchero, Stazzano e Voltaggio . Da Alessandria dipende anche il campo di Novara . Insomma: ufficialmente – al dicembre 1916 – in Italia vi sono 83 campi di prigionia, numero destinato a salire e già allora più alto dei 74 campi segnalati da Spingardi all’ Agence Internationale . Circoscrivendo lo sguardo all’attuale provincia di Asti – in quegli anni non esistente -  i luoghi indicati come ospitanti prigionieri di guerra nella comunicazione del 1916 di Spingardi sono Frinco d’Asti e Castel Rocchero , mentre la documentazione conservata all’Oesterreiches Staatsarchiv di Vienna segnala la località di Monbaldone e la stessa Asti come luogo di decesso di prigionieri austroungarici  .

FRINCO UN PAESE “CHE HA UNA STORIA”
“Questo paese infatti ha una storia, ma nessuno ancora l’ha scritta”. Così il prevosto di Frinco, don Giuseppe Rosso, scrive nella presentazione del volume sulla storia del paese che nel 1949 viene realizzato dal generale Edoardo Dezzani , volume che rimane per decenni il principale riferimento per la ricostruzione della storia del paese. Nel 1999 esce il volume di Giovanni Varesio  che riprende le note di Dezzani, approfondendole, e dedicando un’ampia parte all’attualità di Frinco. Le ricostruzioni storiche delle vicende del paese hanno anche una ampia sintesi on line in
http://www.frinco.altervista.org/story.htm.
Nelle ricostruzioni di Dezzani e di Varesio la vicenda dei prigionieri austroungarici è una annotazione o poco più. Scrive Dezzani: “Dal 1915 al 1919 il castello fu requisito per ospitare i prigionieri di guerra austro-ungarici i quali, per interposizione presso le autorità dell’economo generale della congregazione, Don Paolo Rosso ed anche per l’interessamento dell’Ing. Betta Comm. Policarpo, furono adibiti ai lavori di rettilineo del torrente Versa, opera lodevole ed assai opportuna che eliminò i gravi danni che il ristretto e tortuoso letto del torrente causava ai campi della vallata” . Quasi simile il testo di Varesio: “Nel periodo dal 1915 al 1918, il castello fu poi utilizzato per la custodia dei prigionieri di guerra austro-ungarici. Manodopera gratuita, questi soldati furono impiegati per i lavori di rettifica del torrente Versa il cui precedente andamento tortuoso causava frequenti inondazioni. Solo pochi anni orsono, una maestra conduceva i suoi alunni, nei giorni precedenti la festa del 4 novembre, in occasione della ricorrenza dei morti, al cimitero per deporre un fiore accanto ad alcune croci arrugginite su cui si intravedevano incisi nomi impronunziabili, pieni di consonanti e lettere alfabetiche ignote. Invitava poi a recitare una preghiera, ‘.. non sappiamo se fossero cattolici, ma di fronte a Dio la nostra preghiera è uguale. E nessuno pensa a loro … Erano nemici? … La guerra crea i nemici … ma la dignità dell’uomo non conosce frontiere’ una lezione di civiltà scolpita nella mente e che ispirerà tutta una formazione di vita”.
Le note di Dezzani e di Varesio delineano, le seconde soprattutto, un dato comune all’universo della prigionia di guerra in Italia: il carattere sostanzialmente amichevole che caratterizza i rapporti fra i prigionieri. Se in un primo tempo possono apparire quali essi sono, cioè dei nemici, con il tempo il sentimento di non benevolenza sfuma in una diffusa pietà umana, alimentata dalla comune origine contadina fra civili italiani e prigionieri austroungarici. Il dato della preghiera sulle tombe dei prigionieri morti è una cifra di pietà umana che ho ritrovato in altre località del Novarese e Vercellese, dove le tombe dei prigionieri di fatto sono adottate dalla popolazione, che le ricopre di fiori nei giorni di festa e non rifiuta una preghiera e un ricordo.

UN PAESE, UN TORRENTE E UN CASTELLO
Il castello caratterizza il profilo del paese di Frinco d’Asti: dall’alto della collina a cui è aggrappato l’abitato domina la valle sottostante lungo la quale scorre il torrente Versa. Castello, torrente e prigionieri di guerra avranno per lunghi mesi una storia comune, con i prigionieri che lavorano al consolidamento delle sponde del torrente e alla realizzazione di alcuni ponti sopra le sue tumultuose acque, e il loro campo di prigionia è l’imprendibile fortezza, nelle cui camerate arriveranno a essere alloggiati oltre settecento soldati austroungarici.
La storia che dovrà portare i prigionieri austriaci a Frinco prende avvio nel 1881. Proprio in quell’anno è infatti promossa la costituzione, fra i proprietari terrieri di Corsione, Tonco, Frinco e Castell’Alfero di un consorzio “per la sistemazione del torrente Versa” . Il Consorzio si costituisce formalmente due anni dopo, nel 1883, nell’estate successiva è predisposto e approvato il progetto dei lavori. Ma subito i buoni propositi dei promotori si arrestano: i lavori di sistemazione devono impedire al torrente di esondare con frequenza e con i danni che si possono immaginare ma il Consiglio superiore del Lavori pubblici della Provincia di Alessandria, se da un lato approva il progetto dei lavori, dall’altro impone ulteriori interventi di messa in sicurezza del tratto sino alla foce del Tanaro, una condizione che deve essere risultata soverchiamente onerosa per il Consorzio tanto che, di fatto, nulla si realizza. Un nuovo procedimento amministrativo si ha parecchi anni dopo, nel 1903 quando una legge in materia prevede agevolazioni per i lavori classificati “in 3° categoria”. Il Consorzio chiede di rientrare in tali agevolazioni e l’istanza, sebbene avendo il Versa caratteristiche di vero e proprio torrente e non di semplice rivo o scolatore, come indicato dalla norma, viene presentata al consiglio provinciale con il viatico favorevole della Commissione Affari Diversi. Torrente o scolatore che sia, il pericolo delle inondazioni, come la stessa relazione cita chiaramente, non è cosa da poco: “il danno delle inondazioni è sempre rilevante, per quanto non molto estesa sia la superficie sommergibile; l’agricoltura soffre detrimento per la sola eventualità delle inondazioni e l’igiene mai avvantaggia per la mancanza di sistemazione dei fiumi e torrenti che rende possibili gli stagni e le acque morte e putride”. Nel 1905 è formalizzata la classificazione in terza categoria delle opere di rettilineamento e di stimazione del torrente, che interessano Corsione, Frinco, Tonco, Castell’Alfero e Asti; nel 1909 è approvato il progetto esecutivo dei lavori, divisi in cinque lotti e per un importo di spesa di oltre mezzo milione di lire. I lavori procedono negli anni successivi: nel 1911 è finito il quinto tronco dei lavori e lo Stato paga il proprio contributo del 60% della spesa. A gennaio 1912 una piena, il 24 e il 25 di quel mese, provoca frane per oltre due chilometri e mezzo del corso del torrente, proprio nella zona del quinto tronco dei lavori, appena conclusi. Una perizia variante è predisposta e approvata nel novembre 1912, per il quarto tronco, quello che interessa il territorio di Frinco . Quale lo stato dei lavori all’annunciarsi della guerra? Nel 1913 è eseguito il primo tronco dei lavori e appaltato il secondo “ma non si poté iniziare per circostanze impreviste e così i lavori si sospesero del tutto per mancanza di manodopera, e ciò in causa della chiamata alle armi della maggior parte degli uomini atti a tali lavori”.

 

 

I PRIGIONIERI A FRINCO ATTRAVERSO LE CARTE D’ARCHIVIO
I documenti del Consorzio per il rettilineamento del Torrente Versa sono depositati all’Archivio di Stato di Asti , un ricco fondo che delinea gli aspetti tecnici dei lavori di messa in sicurezza delle sponde del torrente e il suo rettilineamento e il particolare impiego della manodopera costituita dai prigionieri di guerra. Tra i documenti, spiccano con particolare evidenza quattro registri nominativi: un libro paga quindicinale ma soprattutto tre libri matricola del Consorzio con annotati – ai fini dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro - i nominativi e i principali dati anagrafici di 772 prigionieri di guerra, internati nel castello e impiegati come manodopera dal Consorzio stesso . Si tratta di un interessante data base, un documento abbastanza unico da ritrovare, perché di fatto è anche il registro nominativo del campo di prigionia . Il nominativo registrato con il numero 1 è quello di Georg Kandler, del fu Georg, originario di Vienna della classe 1888, “assunto in servizio” nell’aprile 1917 ; l’ultimo quello di Franz Bucher, del fu Josef, nato a Schafform nel 1895 e assunto in servizio il 4 marzo 1919 . Un dato, quest’ultimo, che ci conferma come l’arrivo dei prigionieri e il funzionamento del campo di prigionia e l’impiego nei lavori lungo il Versa proseguirono ben dopo la fine della guerra. Poi la paga giornaliera: 5 centesimi, diligentemente annotata. Per quanto riguarda l’orario giornaliero di lavoro, questo poteva variare da un minimo di 2 a un massimo di 9 ore, a seconda delle necessità e delle mansioni.
Dai documenti d’archivio emerge come l’impiego di prigionieri nei lavori, dalla primavera del 1917 in poi, non coincida con l’arrivo di prigionieri a Frinco, e internati nel castello. Prigionieri nel castello se ne contano già alla fine del 1915 , probabilmente adibiti a lavori agricoli, mentre l’impiego nei lavori lungo il torrente è successivo. A questo riguardo dalle annotazioni sui registro del consorzio si può si può comprendere come il primo gruppo di quasi duecento uomini è impiegato tra l’aprile e il giugno 1917, altri trecento circa con l’estate: con questi due arrivi il ‘grosso del contingente dei prigionieri formato - a fine 1917 – da oltre cinquecento prigionieri, sorvegliati dai Bersaglieri di Asti al comando del maggiore Passione. Nel 1918 si aggrega una ulteriore nutrito gruppo di prigionieri, con altri duecentocinquanta uomini circa. Poi nessun arrivo ulteriore per mesi, sino al dicembre 1919 quando sono registrati Todorov Batu, del fu Anton, classe 1896, originario di Ziva, e il già ricordato Franz Buchner.
La prima formale richiesta di invio di prigionieri di guerra da impiegare come manodopera lungo il Versa è del settembre 1916. Nello scrivere alla Commissione dei prigionieri di guerra di Roma, presso il Ministero della Guerra, il Sindaco di Frinco, ricostruendo la situazione del torrente e la genesi della nascita del consorzio per il suo rettilineamento, chiede che “sia usufruita l’opera dei prigionieri di guerra per i predetti lavori di sistemazione” . All’annunciarsi della terza estate di guerra, nel 1917, un primo nutrito gruppo di prigionieri è già insediato nel castello, un secondo gruppo di altre trecento è atteso a breve . Il lavoro assicurato dai prigionieri risulta essere quantomeno provvidenziale per il Consorzio, nel gennaio 1918, infatti, lo stesso decide di avviare anche i lavori del quarto e ultimo lotto, cioè fra Frinco e Asti, oltre ai lavori nel tratto precedente, proprio “prevendendo di poter usufruire dell’opera dei prigionieri di guerra” . I lavori di sterro dei primi tre tronchi del corso del torrente sono affidati alla ditta Ramello, quelli dell’ultimo tronco all’Impresa Ubertazzi , i lavori di messa in sicurezza sono costituiti soprattutto rivestimenti delle sponde del torrente con calcestruzzo cementizio di venti centimetri di spessore e da briglie per dislivelli .
I lavori per la messa in sicurezza del torrente non sono l’unica occupazione per i prigionieri del castello: dall’estate 1916 e sino al 1918, nei periodi estivi, la maggior parte di loro sono impegnanti principalmente in lavori agricoli, occupazione che crea qualche malumore perché l’amministrazione del consorzio intende questa ulteriore destinazione come una sottrazione di manodopera preziosa per il proprio scopo. In breve, pare di capire che la presenza di un così gran numero di prigionieri, quindi di forza lavoro, risulti molto appetibile per diversi impieghi, quindi sembra esserci una rincorsa ad accaparrarsi tale forza lavoro per i diversi scopi.
Nel settembre 1916, quando ormai il castello ospita trecento prigionieri, si rileva un impiego discontinuo degli stessi per i lavori del torrente e diversi prigionieri sono impiegati per lavori addirittura in altri paesi vicini a Frinco. L’impiego in lavori agricoli è dettato soprattutto dalla necessità di assicurare alimenti per il paese: una precedenza che si presenta sia nell’estate 1917 che in quella del 1918, quando si ipotizza di destinare i prigionieri principalmente ai lavori agricoli, lasciando a disposizione del consorzio solo venti/venticinque di loro .
All’inizio del 1917 probabilmente il Ministero per la guerra si accorge che, a fronte dei prigionieri richiesti e concessi per i lavori lungo il Versa, l’impiego degli stessi non è stato così continuo. Nel luglio di quell’anno, infatti, il presidente del Consorzio scrive al Ministro della guerra spiegando che è vero che dall’inizio dell’anno (1917) “non furono usati tutti i prigionieri concessi … ma ciò è da attribuirsi alla stagione nevosa e piovosa”  e, immediatamente dopo, sollecita al comando prigionieri di Frinco la concessione della quota di prigionieri di guerra per i lavori, fino al “numero di 300 già concessi” . In questa estate, addirittura, si crea un distaccamento di una ventina di prigionieri con sede nelle scuole della località di Ponte Suero, con compiti precisi di lavoro al torrente, operativo dalla fine di agosto
Addirittura, nell’estate 1918, il presidente del Consorzio si lamenta apertamente con il comandante del reparto prigionieri perché solo una decina sono effettivamente impiegati nei lavori lungo il torrente, “numero insufficiente per avere un corrispettivo a rendimento pel regolare progresso dei lavori”, mentre gli accordi avrebbero dovuto prevedere almeno 25 prigionieri compresi 12 muratori “per i lavori di muratura”. “Appena finiti i lavori mietitura che ormai sono ultimati in questi giorni”, si augura il presidente del consorzio, si auspica che almeno cento prigionieri possano essere dedicati ai lavori lungo il Versa . Una difficoltà, questa, che conferma due motivi: uno evidente, nel castello la “forza è ridotta aui minimi termini” come scrive il comandante del reparto prigionieri    in risposta al presidente del Consorzio, tanto che anche recuperare una ventina di prigionieri sembra essere un problema; il secondo legato alla ventilata decisione di sopprimere i Distaccamenti di prigionieri non impegnati in lavori agricoli .

I PONTI DEGLI AUSTRIACI
Una importante annotazione sulla qualità del lavoro svolto dai prigionieri si trova nel sito Internet del Museo L’Ciar di Castell’Alfero. Qui, insieme alla pubblicazione di un interessante apparato iconografico, si ricorda come – oltre al lavoro di consolidamento delle sponde del torrente – i prigionieri sono impiegati anche nella costruzione di ponti sullo stesso, alcuni ancora esistenti: “uno in prossimità del bivio per Corsione sulla Strada Provinciale 22 della Valle Versa, uno sulla strada per località Casalino di Tonco, seppur abbastanza modificato nel tempo, sempre a breve distanza dalla S.P. 22; uno, quello meglio conservato, è il Ponte della Paglia sul territorio di Castell’Alfero, a lato della S.P. 22”  . Quindi, oltre a un impiego massiccio di manodopera senza una qualifica particolare, si unisce la presenza e l’impiego anche di manodopera più specializzata.

I PRIGIONIERI A FRINCO: RAPPORTI CON LA POPOLAZIONE
Oggi non c’è più nessuno che ha conservata memoria diretta della presenza a Frinco dei prigionieri austriaci. Ma, singolarmente, una traccia della loro presenza e dei rapporti con la popolazione esiste nei diversi oggetti in legno intagliato – piccole scatolette, tabacchiere e tagliacarte – che realizzati a mano dai prigionieri sono oggi conservati da famiglie del paese.
Questi oggetti testimoniano alcune cose: non soltanto l’abilità di alcuni prigionieri nel lavorare il legno, ma soprattutto il loro uso come moneta di scambio fra prigionieri e civili, veri oggetti transazionali che confermano una sostanziale cordialità di rapporti, seppur con i limiti e le rigidità della situazione. Così ad esempio per la famiglia Gaspardone, che oggi conserva una delle scatolette, realizzate nel 1916 dal prigioniero di guerra Obrad Petkovich: Cesare Gaspardone aveva una attività di falegnameria e rapporti con i prigionieri che si recavano nella sua bottega per approvvigionarsi di legname: in questa familiarità di rapporti si inserisce la realizzazione e il dono della scatoletta. Dai nomi incisi su questi manufatti, possiamo ricordare gli autori: Milosch Lubiratih, Jovan Lokokur e Obrad Petkovic, appunto. Alcuni di questi oggetti sono conservati oggi al Museo etnografico di Castell’Alfero .

I PRIGIONIERI A FRINCO: I CADUTI
Nel cimitero di Frinco d’Asti sono conservati i resti di quattro prigionieri di guerra deceduti in paese: Ian Kmiec, Alois Lischha, Lajos Nagy, Franz Olejnih . Correttamente la lapide funebre recita “Caduti austroungarici” e le date di morte suggeriscono in modo evidente che la causa dei decessi possa essere stata l’epidemia di Spagnola, che ebbe tra l’autunno 1918 e l’inverno 1919 il suo periodo più feroce . Più in dettaglio: Jan Kmiech era nato a Lusovice, in Galizia; celibe, aveva 21 anni alla morte avvenuta il 23 ottobre 1918. Alois Lischha era nativo di Vienna, era celibe e aveva 26 anni alla data di morte, avvenuta il 27 ottobre 1918. Stessa data per la morte di Lajos Nagy, un soldato di 38 anni nativo di Megyhoszenthihlos. Franz Olejnik aveva 20 anni, era celibe, originario di Magdaloush Shabat, e morì l’8 febbraio 1919 .

 

 

CONCLUSIONE
La storia dei prigionieri di Frinco è una storia singolare, anche solo per i numeri. Negli anni della guerra Frinco conta 1.462 abitanti : una comunità di piccole dimensioni, nella quale 774 prigionieri internati nel castello, o forse più,  a cui si sommano i militari del corpo di guardia, genera una “comunità nella comunità” molto rilevante. Importante è poi il motivo della presenza di un così gran numero di prigionieri: principalmente i lavori lungo il Versa, per mettere in sicurezza il torrente e limitare i danni alla popolazione, e poi i lavori nei campi. E infine si deve ricordare come peculiare la permanenza degli oggetti realizzati da questi prigionieri in alcune famiglie del luogo, vera memoria materiale di quel periodo capace – come accennato – di confermare l’esistenza di rapporti fra prigionieri e popolazione civile e la sostanziale cordialità di questi.
La vicenda di Frinco conferma, una volta di più, come la storia della prigionia di guerra in Italia sia soprattutto una storia di piccole comunità, di eventi quotidiani che si misurano con la grande scala della storia. Non si può prescindere dalla conoscenza generale del fenomeno, per non perdersi in mille rivoli cronachistici, ma senza la memoria locale e le sue fonti il senso di quegli eventi non è percepibile né comprensibile.



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